Sofia - Boyana - Monastero di Rila


1° Novembre 2017 - 5 Novembre 2017

(Cattedrale S. Alessandro Nevski, interno, particolare)

Non ci fregano più: stavolta abbiamo i nostri fantastici orologi al polso, riesumati, dopo la disavventura di Mosca Sheremetyevo, da un cassetto impolverato del comodino di casa.
Abbiamo sentore di quanto debba essere turisticamente sottostimata questa nazione, quando entro al Touring e scopro che di guide della Bulgaria che non siano più vecchie del 1900 non esiste traccia.
Quindi ce la fabbrichiamo noi su misura. A dire il vero ci pensa il Piemontese, che riesce a fare un lavoro che a confronto l'ultima indagine ISTAT è la rivista che ti leggi dalla parrucchiera.
Dobbiamo googolarlo per capire che la Bulgaria fa parte dell'UE ma è No Schengen.
Intanto, dopo essere riusciti ad inquadrare a grandi linee la situazione, nel circo delle cancellazioni che Ryanair ha fatto partire ad ottobre c'era anche il nostro volo di andata.
Per non farci mancare nulla abbiamo rischedulato con Wizzair e ci sono voluti due giorni per capire esattamente, leggendo tutte le postille e gli asterischi, i cambiamenti sul bagaglio consentito.

 (Cattedrale S. Alessandro Nevski)

 (Palazzo del Parlamento)

(Palazzo del Presidente della Bulgaria)

(Teatro dell'opera e del balletto) 

 (Teatro, facciata)

 (Teatro, facciata, particolare)

 (Orizzonti)

 (Autunno)

 (Luce)

 (Cattedrale S. Alessandro Nevski)

 (Mercato permanente di libri all'aperto)

 (Underground bookstore)

 (Palazzo Nazionale della Cultura)

 (Parco del Palazzo Nazionale della Cultura)

 (Colori)

(Chiesa Sveta Nedelya)

La prima cosa che scopriamo è che il popolo bulgaro ama la musica.
In particolare la musica tunz tunz, mica quella classica, pop, folk, country, rock o metal. No. Quella tunz tunz.
In particolare sparata a palla, a manetta, come se il volume si fosse bloccato sulla tacchetta più alta.
In particolare la mattina, il pomeriggio, la sera.
In particolare ovunque.
In hotel, nella sala colazioni alle 7 del mattino, nei ristoranti, nei bar, nei negozi, in aeroporto.
Detto questo, abbiamo un messaggio per Mario Biondi: non hai alcuna speranza in Bulgaria. Stai a casa.

(Fermi, state fermi... Cheese!)

La seconda cosa che impariamo è che qui fare l'elettricista è un lavoro davvero ingrato. Basta guardare la miriade di fili che pendono dalle case, dai muri, sopra le porte. Li vedo già chiamare un elettricista per un guasto all'impianto: "il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile. Si prega di riprovare più tardi. Anzi, no. Non riprovi. Si tenga il guasto o cambi casa".

La terza cosa è la provvisorietà.
Che si palesa quando per pranzo ci sediamo in un locale vicino alla cattedrale. "Vado in bagno, torno subito" dico al Piemontese. Si sa quanto il "torno subito" di una donna sia aleatorio.
Scendo le scale poco illuminate dell'adiacente strip-club, con cui il locale condivide i bagni. Fortuna che è giorno, altrimenti mi aspetterei delle ballerine in abiti succinti uscire dalla toilette.
In mancanza di indicazioni, entro in quello che individuo come il bagno degli uomini, ma poco importa, non c'è nessuno in giro che si offenderà.
Apro la porta della prima toilette, giro il chiavistello, clic clac, faccio quello che devo fare, rigiro il chiavistello in senso opposto, clic cla...
Niente.
La porta non si apre.
Riprovo. Clic...
Nulla.
Cli...
Ancora niente.
Cl...
Tranquilla, Ele. Sei tu che non hai dimestichezza con le serrature bulgare.
Riprovo una decina di volte. Con calma.
Nulla da fare.
Bon. Riprovo un'altra decina di volte. Senza calma.
Ancora niente.
Analizzo la situazione: sono chiusa in un cesso bulgaro, nel sottoscala di uno strip-club dove non passa nessuno.
Inizio a picchiare sulla porta urlando "hey, can you heeeeeeelp me? I'm stuck in the bathroom! I'm heeeeereeeee!!"
Silenzio.
Riprovo ad intervalli regolari. Rimango in ascolto per capire se qualcuno si avvicina. Niente.
Mi guardo attorno per vedere se c'è qualcosa con cui posso aiutarmi per uscire. Guardo in alto. Potrei provare ad arrampicarmi fino in cima al muretto che dà accesso allo spazio condiviso della toilette ma è troppo alto e io non ho i muscoli di Jury Chechi né la prodezza del Reinhold Messner di quarant'anni fa.
Passano i minuti, almeno 10.
Penso che prima o poi il Piemontese si accorgerà che manco e verrà a cercarmi. Sempre se non sta leggendo qualcosa sulla storia della cattedrale che dovremmo visitare nel pomeriggio. Sempre se non sta cercando sulla mappa qualche geocache nelle vicinanze. Sempre se non si è perso in qualche elucubrazione sulle leggi che regolano l'universo bulgaro.
Riprendo ad urlare e picchiare sulla porta.
Passano altri 10 minuti senza che arrivi anima viva.
Inizio a scoraggiarmi quando improvvisamente vedo la maniglia della porta che si muove dall'esterno. Una voce dice "No problem. You ok?"
Finalmente, penso.
"Yes yes, I'm ok, but I can't open the door, can you help me?".
Capisco dalla risposta che il tipo non parla molto inglese, ma la situazione è chiara. Prova ad aprire dall'esterno. Niente da fare. Dice qualcosa in bulgaro, sottovoce. Lo immagino sgranare l'intero rosario dei santi ortodossi e intonare lodi al cristo pantocratore. Intuisco l'arrivo di una seconda persona. Poi di un terza. Vanno avanti così ancora per un po'.
Nonostante i numerosi tentativi e il rosario, la porta non si apre.
Intanto sento una risata che mi sale dalla pancia. La situazione è surreale e mi viene così da ridere che vorrei buttarmi per terra ma 1.non c'è spazio 2.non vorrei pensassero ad una crisi di nervi e chiamassero la polizia.
Ad un certo punto vedo una spatola spuntare da sopra il muretto. Uno dei tre, quello che parla meglio di tutti l'inglese, mi dice di prenderla, di infilarla nella fessura tra la porta e lo stipite e forzare la serratura.
Mi sento l'ispettore Callaghan prima di introdursi illegalmente nell'appartamento di un pericoloso ricercato.
La porta si apre con una facilità senza precedenti. Mi devo ricordare di portare sempre un aggeggio del genere nella tasca posteriore dei jeans.
Mi trovo di fronte tre baldi giovani, belli come il sole. Li guardo e adesso sì che scoppio in una risata fragorosa, loro si scusano, io li ringrazio: un'avventura così è seconda solo all'attraversamento della frontiera uzbeko-turkmena.
Non faccio in tempo a salire le scale che si affaccia il Piemontese per chiedermi se va tutto bene...

(Il posto vuoto, prima del buio del cesso bulgaro)

A me Sofia piace: è una delle più antiche capitali europee. Ha visto i romani, gli unni, 5 secoli di dominazione ottomana, la liberazione nel 1878 con l'aiuto dei russi, due guerre dei Balcani, due guerre mondiali, il controllo dell'ex Unione Sovietica.
Rimane, come molti paesi a Est, un luogo di incontro tra oriente e occidente, tra religioni e fedi, tra passato e futuro.
È chiaro dalla presenza di resti antichi, di edifici imponenti, di luoghi di culto diversi in qualche metro quadrato: una chiesa ortodossa, una moschea e una sinagoga sono a pochi passi l'una dall'altra.
Si percepisce la volontà di tenere il passo con il rinnovamento: testimonianza ne sono i cantieri aperti in molte parti della città, giardinieri che sistemano aiuole e piantano fiori. Ma quella generale aria di decadenza post comunista permane. E, a dirla tutta, è il suo fascino.


(Sinagoga)


(Rotonda di San Giorgio)


(Chiesa russa Sveti Nokolay Mirlikiiski)


(Chiesa russa Sveti Nokolay Mirlikiiski)

Un'altra cosa di cui ci rendiamo conto è l'approssimazione delle nostre conoscenze.
Innanzitutto si parte dal nome della città: non nasce dal riferimento a quello della Santa che la maggioranza pensa essere la patrona, ma dalla seconda chiesa più vecchia dopo la Rotonda di San Giorgio, la chiesa di Santa Sofia, intitolata alla sapienza divina così come voluto da Giustiniano.
E a proposito di imperatori: avete presente l'editto di Milano, quello di Costantino, che a scuola ci insegnano essere la pietra miliare nella libertà di culto per i cristiani? Il primo esempio di tolleranza religiosa?
Ecco, scordatevelo. Perché il primo editto che consacra la fine delle persecuzioni verso qualunque religione viene promulgato dall'imperatore Galerio nel 311, due anni prima di quello milanese. Per non dimenticare che la storia che impariamo è comunque eurocentrica, che non solo necessita di contestualizzazione ma di continua verifica.

 (Cattedrale S. Alessandro Nevski)

(Cattedrale S. Alessandro Nevski)

Visitiamo i monumenti principali della città. La cattedrale è imponente, la più grande tra quelle ortodosse dei paesi dell'Est. Compriamo anche il permesso per scattare le foto. L'omino che nella chiesa si occupa delle candele, completamente vestito di nero, con barba e capelli lunghi, sembra un eremita uscito dal IX secolo. Intercetta Ale almeno una decina di volte.
La prima chiede di vedere il permesso e strappa un quadratino del biglietto.
La seconda chiede se è solo per le foto o anche per i video.
La terza, visto che lo reggo io mentre il Piemontese armeggia con la macchina fotografica, chiede se è lo stesso di prima.
La quarta chiede di tenere il permesso bene in vista.
La quinta dice di tenere il permesso bene in vista nella mano sinistra.
La sesta dice di tenere il permesso bene in vista nella mano sinistra mentre scatta la foto.
La settima dice di tenere il permesso bene in vista nella mano sinistra mentre scatta la foto, davanti alla macchina fotografica.
Lo vedo avvicinarsi per l'ottava volta e mi immagino già che dirà di tenere il permesso bene in vista nella mano sinistra, mentre scatta la foto, davanti alla macchina fotografica, con il piede destro sollevato, "le ginocchia piega un po', poi scodinzola così, batti forte le tue mani e fai qua qua"...
Ma non dice niente.
Si avvicina e sorride. Fa un cenno di assenso con la testa.
Noi ricambiamo il sorriso e decidiamo che è tempo di uscire e lasciare che ognuno di noi affronti i propri demoni.

(Cattedrale S. Alessandro Nevski, interno, particolare) 

(Cattedrale S. Alessandro Nevski, interno, particolare) 

(Cattedrale S. Alessandro Nevski, interno, particolare) 

(Cattedrale S. Alessandro Nevski, interno, particolare) 

(Cattedrale S. Alessandro Nevski, interno, particolare) 

(Cattedrale S. Alessandro Nevski, interno, particolare)

 (Cattedrale S. Alessandro Nevski)

Al contrario di quanto accade solitamente con i nostri city-break, ci spingiamo oltre la visita della città. A due ore da Sofia c'è il monastero di Rila, il più noto (e dicono il più bello) dei Balcani: ci andiamo con uno di quei tour organizzati con guida, che di solito disprezziamo.
Nel pacchetto è compresa anche la visita alla chiesa di Boyana, eretta tra la fine del X e gli inizi dell'XI secolo: la perla sono gli affreschi della metà del XIII secolo. Da lasciare senza fiato.

(Chiesa di Boyana, esterno)

La campagna che attraversiamo per arrivare a Rila è colorata dall'autunno, il paesaggio sfila lento e, a volte, come se fosse immobile nel tempo. 

(Foliage)

Il monastero è incastonato tra le montagne, siamo a quota 1200. Fa freddo, molto.
La vita del suo fondatore, l'eremita San Giovanni di Rila, somiglia un pò a quella del San Francesco italico.
Il monastero risale al X secolo ma fu distrutto e ricostruito più volte: quella che ammiriamo è la versione del XIX secolo. All'interno e all'esterno non c'è un solo centimetro che non sia affrescato, una roba del genere non la vedevo da anni. E qui, con questa luce obliqua che taglia il freddo come una lama, è ancora più suggestivo.

(Monastero di Rila) 

(Monastero di Rila) 

(Monastero di Rila) 

(Monastero di Rila) 

(Monastero di Rila) 

 (Monastero di Rila)

 (Monastero di Rila)

 (Monastero di Rila)

(Monastero di Rila)

 (Monastero di Rila)

Ma visto che non siamo neppure lontanamente come il santo fondatore che non temeva i morsi della fame, viveva esposto alle intemperie, si riparava in una caverna e si cibava solo di erba, approfittiamo di un bugigattolo da cui escono profumi inenarrabili. E' solo un piccolo pertugio in un muro spesso 1 metro, una finestrella da cui si affaccia una ragazzetta che, dopo una fila che nemmeno agli Uffizi, ti insacchetta in una plasticaccia rosa trasparente cancerogena (che in Italia abbiamo smesso di produrre negli anni 50), le famosissime ciambelle di Rila, prodotte in loco da tempo immemore.
Ne prendiamo 6 per il pranzo, ci accomodiamo sui tavoli all'aperto, dove campeggiano delle scatolette con della polvere bianca: ne spruzziamo una bella quantità sulle ciambelle ancora calde e le mangiamo in piedi, in mezzo alla folla, in religioso (è proprio il caso di dirlo) silenzio perché abbiamo tutti la bocca impegnata in altro.

(Il fornaio) 

(Le ciambelle belle) 

(So' bbbboneeeee)

Sono buonissime.
Così buone che se il Santo le avesse assaggiate, il monastero non sarebbe mai esistito: avrebbe deciso di aprire una bottega, avrebbe fatto un sacco di soldi, sarebbe diventato un magnate della grande distribuzione, creato un franchising con headquarter in Bulgaria e punti vendita in tutti i paesi del mondo; l'avremmo visto aggirarsi in vestaglia da notte e babbucce nella sua villa spaziale a Saint Tropez, con dieci chihuahua al seguito, jet privato e feste a bordo piscina tutte le notti.
Altro che caverna e fili d'erba.

Quindi, a conti fatti, meglio che il santo non le abbia mai scoperte: così a noi ha potuto lasciare in eredità il Monastero e 2 chili in più.

(Quadrat 500, Io il lunedì mattina) 

(Quadrat 500, ontologia del disastro) 

(Quadrat 500, ontologia del disastro) 

(Quadrat 500, serviranno come appendini?) 

(Quadrat 500, perché? dimmi perché)




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