Valle di Fergana - Kokhand e Fergana city

2 Agosto 2019 - 23 Agosto 2019

Mahmood non parla inglese e noi non parliamo russo, ma come tutti gli uzbeki è affabile e ci intendiamo a gesti per le cose essenziali.
Siamo diretti nella valle di Fergana, che due anni fa non siamo riusciti a visitare: è la zona più popolosa e industrializzata del paese, rinomata in tutto il mondo per le ceramiche di Rishtan e per essere il centro più noto di produzione della seta dell'Asia centrale. 


(Ceramiche di Rishtan, Valle di Fergana, Uzbekistan)

 (Bottega di ceramisti, Rishtan, Valle di Fergana, Uzbekistan)

(Bottega di ceramisti, Rishtan, Valle di Fergana, Uzbekistan)

 (Via della Seta, Valle di Fergana, Uzbekistan)

(Via della Seta, Valle di Fergana, Uzbekistan)

È famosa anche per aver dato vita negli anni '90 a quello che venne definito "estremismo islamico", o presunto tale, che rivendicava una forma di opposizione al governo ufficiale. L'allora presidente Karimov mise in atto una forte repressione, sfociata nel 2005 nel massacro di Andijon, con l'uccisione di numerose persone considerate terroristi e che spesso erano definite tali solo per giustificare la riduzione al silenzio degli oppositori.
Ancora oggi il nome della cittadina è in grado di creare imbarazzo in qualsiasi conversazione e se non siete più che in confidenza con il vostro interlocutore è meglio non nominarla.

Mahmood guida come chiunque in questa parte di mondo: a caso.
Non ci sono regole precise, si lascia ampio spazio all'immaginazione e al momento: se la strada è dissestata (cioè praticamente sempre) o se sulla strada c'è una buca, si invade senza alcun problema la corsia del senso di marcia opposto, si strombazza, si salutano gli occupanti dell'abitacolo della macchina con cui si è appena rischiato un frontale e si prosegue.

 (Mahmood e il Piemontese)

 (Valle di Fergana, Uzbekistan)

  (Mahmood e il Piemontese)

(Valle di Fergana, Uzbekistan)

Ci infiliamo in un tunnel buio e Mahmood ci tiene a ribadire ciò che il cartello all'ingresso raccomanda, "no photo". Quando entriamo in galleria capisco il perché: anch'io se fossi il presidente dell'Uzbekistan non vorrei che si sapesse in giro come stanno messi i tunnel che ho fatto costruire. Fili penzolanti e scoperti ovunque, illuminazione a lampadine Osram da 35 watt e uscite d'emergenza fatte da pannelli di metallo tenuti assieme con filo di ferro.
Fuori dal tunnel, sullo spartitraffico tra le due carreggiate, ad intervalli regolari sono stesi dei tappeti, perché effettivamente anch'io, a pensarci bene, quando lavo le tende vado a stenderle sulla Valassina.
Insomma tra tutte le stranezze di questo meraviglioso paese, arriviamo a Kokhand e incontriamo Sardor, la nostra guida.
È sposato e ha tre figli: quando qui realizzano che non abbiamo figli, ci rimangono male. Si vede proprio che non capiscono come una donna possa non avere prole alla mia età.
Ma fanno finta di nulla. E procedono.

Sardor ride spesso.
Ride un po' meno quando si avvicina un gruppo di ragazzi che iniziano a gironzolarci attorno guardandoci come se io fossi Lady Gaga e come se il Piemontese fosse... il Piemontese, che basta e avanza.
Disturbare Sardor mentre fa lo spiegone sulla storia del palazzo del Khan è un oltraggio perciò quando i ragazzi si stancano di aspettare e gli chiedono se possono fare delle foto con noi, lui li caccia in malo modo. Tant'è che ci rimango male per loro.
In questa parte di Asia siamo delle vere star: all'inizio non me ne capacitavo, ma qui molti non sono mai stati fuori dal paese e, nelle regioni più rurali, vedere degli occidentali è davvero inusuale, per non parlare di una donna con i capelli molto corti e che indossa i pantaloni. Per cui il meno che mi possa capitare è di essere squadrata da capo a piedi e di essere fermata per un set fotografico che nemmeno Vogue America.
Visitiamo il palazzo del Khan, un tempo circondato da alte mura fortificate e ora distrutte: 119 stanze e un harem che ospitava fino a 90 concubine. Oggi è tutto "under construction": a settembre ci sarà un festival dell'artigianato che vedrà arrivare maestri da 80 paesi e la città si sta completamente rinnovando, cantieri in ogni dove, anche dentro il palazzo, di cui quindi visitiamo solo una parte.
Città tra le più famose sulla Via della Seta, Kokhand è stata capitale dell'omonimo khanato tra XVIII e XIX secolo, luogo fiorente con numerose madrase e moschee.

 (Palazzo del Khan, Kokhand, Valle di Fergana, Uzbekistan)

 (Palazzo del Khan, Kokhand, Valle di Fergana, Uzbekistan)

 (Palazzo del Khan, Kokhand, Valle di Fergana, Uzbekistan)

 (Palazzo del Khan, Kokhand, Valle di Fergana, Uzbekistan)

 (Palazzo del Khan, Kokhand, Valle di Fergana, Uzbekistan)

 (Palazzo del Khan, Kokhand, Valle di Fergana, Uzbekistan)

 (Palazzo del Khan, Kokhand, Valle di Fergana, Uzbekistan)

(Palazzo del Khan, particolare, Kokhand, Valle di Fergana, Uzbekistan)

La cordialità e la gentilezza locali sono un must e compensano ampiamente la totale disorganizzazione, provvisorietà e indefinitezza che governano questo mondo. Scordatevi qualsiasi tipo di certezza, anche quella che ai nostri occhi può apparire come la più banale delle questioni qui può non essere assolutamente contemplata.
La colazione in hotel è servita dalle 7?
Dipende.
Magari iniziano ad apparecchiare a quell'ora.
Oppure il cuoco è stato male e la colazione salta per tutti.
Insomma, il "forse" è d'obbligo. In nessun luogo più che in Asia centrale il senso di precarietà la fa da padrone e si accetta qualunque cosa con quella rassegnazione che solo qui trova la sua vera espressione.
Questa volta ci sorprendono, la colazione è pronta alle 7, abdichiamo a qualsiasi tentativo di equilibrio e ingurgitiamo thè, patate fritte, uova e salsicce per prepararci, con le migliori prospettive, all'attraversamento della frontiera uzbeko-kyghyza.

(Colazione, anche se non sembra)


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