"Alt! Chi siete? Cosa portate? Sì, ma quanti siete? Un fiorino!" ovvero Verso il Turkmenistan

Questo post avrebbe meritato da solo un reportage fotografico ma è assolutamente vietato fare riprese e fotografie di tutta l'area tra il confine uzbeko e turkmeno. I nostri cellulari sono stati accuratamente controllati ed è stata cancellata qualsiasi fotografia che potesse vagamente ricollegarsi alla zona.


Previsioni per oggi: attraversare la frontiera con il Turkmenistan e sistemarci a Mary.

Qui è sempre meglio parlare di previsioni perché le probabilità che qualcosa vada storto sono dietro l'angolo.

Una lunghissima coda di camion preannuncia l'arrivo al confine con il Turkmenistan. Non abbiamo i visti per l'ingresso: l'unica ambasciata turkmena in Europa si trova a Parigi, così abbiamo chiesto al nostro contatto in loco di fornirci il necessario per richiederlo direttamente alla frontiera, dove sbrigheremo tutte le formalità, nella speranza che ce lo concedano.
Sappiamo che il Turkmenistan è un paese decisamente poco turistico e mediamente più "difficile": è internazionalmente riconosciuto come uno stato oppressivo, che non tutela le libertà di espressione (Facebook e WhatsApp sono bannati), le regole sono molto stringenti, i controlli della polizia sono minuziosi su tutto il territorio, la guida consiglia di rivolgersi direttamente all'ambasciata italiana in Uzbekistan in caso di necessità, e di avere a che fare il meno possibile con le forze dell'ordine.

Salutiamo Damir, la personificazione della gentilezza, carichiamo i nostri zaini sulle spalle e proseguiamo a piedi. 
Quello che sappiamo per l'attraversamento a piedi della frontiera è molto schematico: 
1. controlli uzbeki in uscita
2. attraversamento della "terra di mezzo", che non è nè Uzbekistan nè Turkmenistan 
3. rilascio visa per l'ingresso in Turkmenistan 
4. controlli turkmeni in entrata.

Stimo 1 ora. 1 ora e mezza stando larghi.
Ma la realtà è sempre più poliedrica dell'immaginazione. 
Quindi mettetevi comodi:

1. Passiamo il primo controllo passaporti in uno sgabuzzino fatiscente, allagato che nemmeno il Titanic quando è affondato. Inizia il balletto "where are you from... Ah Italiaaaaaa, Italianoooo, toto cutunio ahhhh" e tra me e me non posso credere che abbiamo partorito Dante, il Rinascimento, la Cappella Sistina ma nel mondo si ricordano di Toto Cutugno. Nulla contro l'italiano vero, ma insomma...
In fondo penso che abbiamo quasi finito e che è stato un gioco da ragazzi.

2. 200 metri di sabbia, polvere e lavori in corso, un omino si affaccia da una finestra e ci indica la retta via. Entriamo in uno stanzone dove ci dicono di compilare i moduli per la valuta: qui sono superfiscali e bisogna dichiarare ogni centesimo in entrata e in uscita nelle diverse valute, figuratevi noi che viaggiamo con euro, dollari, sum e manat. Controllo bagagli: la signorina procede disinvolta e veloce con le domande su armi e stupefacenti, ma si sofferma scrupolosamente sul vasellame che ho comperato, guarda con cura, condivide qualche osservazione coi colleghi, poi passa ai copricuscini ricamati a mano, mi chiede quanto li ho pagati, li osserva da vicino, li tocca, interroga i colleghi e io vorrei dirle "guardi, sono una trafficante di armi, ma lasci in pace la mia roba". 
Controlla passaporti e lettera di invito,  che trattiene. 
Ok, bon, andate.

Passiamo in un'altra stanza, bombardata peggio della prima, cavi elettrici da tutte le parti, un po' di persone in coda, aprono uno sportello per noi, che siamo gli unici stranieri a passare la frontiera a piedi.
Altro balletto "where are you from? Oh Italianooooo! Ielena, what's your name?". E mi ci vuole qualche secondo per capire la domanda, visto che il mio nome è scritto sul passaporto.
Ok, bon, andate.

3. Passiamo uno sterrato (un altro) e attraversiamo una serie di altri uffici, "go, go, Turkmenistan", noi titubanti procediamo, si sa mai che ci sparano perché abbiamo superato il limite di velocità a piedi.

4. Intravediamo un cancello in lontananza e un altro omino che si agita. Altro controllo passaporti, il terzo. E per la terza volta "where are you from? Italiaaaaaaa, ahhhhh, italianooooooo"
Toglie la catena al cancello, dietro il quale c'è un altro soldato. Indovinate cosa ci chiede? 
Passport, please. 
E siamo a quattro. 
Ma finalmente siamo fuori, siamo in Turkmenistan. Finita la trafila. 
Adesso basta aspettare Jabbar, il nostro contatto in loco che ha promesso di venirci a prendere e che effettivamente dovrebbe già essere qui. Aspettiamo pazientemente sotto gli occhi del soldato e di un tassista che carica altri migranti, come noi, su di un pulmino scassato. 
Passano 10 minuti, di Jabbar nemmeno l'ombra. In compenso torna il tassista col pulmino vuoto, carica altre persone e se ne va. 
Altri 20 minuti, il tassista è di nuovo lì,  carica altre persone e se ne va. 
Nella mia mente si affaccia un sospetto: ma Ale... e se la terra di mezzo non l'avessimo ancora passata e questo è il pulmino che fa la spola tra un lato e l'altro?

E poi le solite rotelline nella testa e la vocina che mi dice "Pensavate che fosse così facile entrare in Turkmenistan, nè? Babbei, pisquani, maltrainsema (male assortiti, in dialetto lombardo), dementi per la seconda volta! Va là, state a casa che è meglio!"
Blocchiamo il pulmino al ritorno, col tassista ci intendiamo subito, ha capito che siamo due minchioni, ci fa attraversare la no man's land e ci scarica davanti all'ennesimo check point, sotto il sole a picco.
Stavolta è quello turkmeno. 
Intendo quello reale. 
Il primo della serie.

Inizia un altro teatrino, con qualche variante succulenta:

5. Passport, please. Where are you from? Oh Italiaaaaaaaa, italianooooooo!!! 
Ok, bon, andate.

6. Secondo check point turkmeno, dopo 20 metri (e dico venti) dal primo.
Passport, please. Where are you from? Ohhhhhh, Italiaaaaaaaa, Italianoooooooo!!!! 
[Ok, bon, andate.]
Notate le parentesi, perché è quello che il poliziotto NON dirà. 
Invece dice "letter of invitation".

Sento la musica di mezzogiorno di fuoco che mi parte in testa, l'adrenalina entra in circolo e pompa a mille: "la letter of invitation ce l'hanno trattenuta al primo check point uzbeko, ce l'hanno loro" tento di spiegare in inglese, ma lui non capisce, parla solo turkmeno e russo. 
Mi ripete la domanda e proviamo a spiegarci a gesti. 
Nell'ordine arrivano un collega e il superiore: tutte e tre lì paiono usciti da Full Metal Jacket, hanno anche gli stessi cappelli del sergente Hartman. 
Sono quasi tentata di dirglielo, ma temo non la prenderebbero bene. 
Il superiore ci fa la stessa domanda, ma nemmeno lui parla inglese. 
Parte una scena surreale che manderebbe i fratelli Coen in pensione: ripetiamo lo stesso concetto usando solo parole chiave, Ale propone di tornare a piedi a riprendere la letter of invitation, non colgono. Proponiamo di chiamare con la ricetrasmittente la frontiera uzbeka e verificare che la lettera ce l'abbiano loro. Uno dei tre si allontana. 
Io lo immagino chiamare i rinforzi, ci vedo già marcire in una gattabuia turkmena, accusati di aver tentato di introdurci illegalmente nel paese, ci vedo ripresi dalle telecamere di tutto il mondo mentre ci processano per alto tradimento. 
Ale capisce, mi dice "stai tranquilla, passiamo senza, vedrai". 
Sarà che tra uomini si capiscono. 
Sarà che il piemontese in questi casi sfodera il savoir faire e la faccia di tolla che tiene in serbo per queste occasioni e chiede lumi sulla pronuncia corretta di alcune città che vorremmo visitare, il capo si scioglie, sorride, chiede di ripetere i nostri nomi, l'itinerario, ricontrolla i passaporti. 
Sarà che dalla ricetrasmittente arriva una voce, "Ielena, Alessandro, Italia, Da".
E allora adesso sì:
Ok, bon, andate.

Attendiamo un altro pulmino, assieme ad un cane (giuro), questa volta per portarci alla frontiera dove dovremo fare richiesta per il visto.

7. Si vede che siamo in Turkmenistan e che stanno messi meglio dell'Uzbekistan: entriamo in un ufficio con l'aria condizionata e i computer (spenti). Un uomo e una donna. Indovinate? 
Passport, please. 
Il compito dell'uomo è puramente decorativo: indica con il dito la donna. Lei prende i passaporti e scrive su un registro tutti i dati e le mete del nostro viaggio. 
A mano. 
Ci dà due fogli da compilare. 
Altra dichiarazione sulla valuta. I moduli sono in turkmeno e in russo. In inglese non esistono. Ne esiste una sola copia esposta nell'atrio ed usata come modello per agevolare la compilazione per gli stranieri.

8. Con il nostro malloppo di fogliettini arriviamo alla postazione per la richiesta del visto. Ma qui l'addetto non scherza e non fa battute. 
Passport, please. 
Moduli, moduli, moduli. 
Indica la cassa a fianco: passport, please. 
138 dollars, please. 
SticaMeco... (lascio a voi indovinare per cosa sta l'acronimo). 
Se non altro li chiedono educatamente. 
Con un gesto ci dice di tornare allo sportello precedente: l'addetto controlla il pagamento, rilevazione impronta pollice sinistro, rilevazione impronta pollice destro, fotografia (mi ci vogliono due tentativi, sbatto troppo le palpebre, vagli a dire che porto le lenti e che con questo caldo mi si seccano gli occhi).
Ma ora abbiamo i nostri fantastici visti per il Turkmenistan e possiamo proseguire il viaggio.

9. Controllo bagagli: mentre aspettiamo che una coppia giapponese finisca, ci passa davanti una folla di autoctoni uzbeki. Io non capisco un fico di turkmeno ma, dal tono e dal non verbale, è evidente che l'addetto ai visti li sta redarguendo pesantemente: si alza in piedi, alza anche giusto un filo la voce, che a confronto mia madre incazzata è una lady d'Inghilterra. Zitti zitti se ne tornano dietro di noi. 
Mi accoglie una signorina che mi osserva allibita. Ecco nell'ordine le cose che mi chiede (e le risposte che avrei voluto dare):
Sei una turista? (no, una rapinatrice di banche professionista) 
Perché viaggi in Turkmenistan? (perché a Gabicce Mare non abbiamo trovato posto).
È bello viaggiare? (no, preferisco stare in ufficio, ma mi hanno obbligata a prendere ferie).
Viaggi da sola? (no, con mio marito [questa però l'ho detta veramente]). 
Nel frattempo mi fa aprire i bagagli. 
Tutti. Ogni. Singolo. Scompartimento. Dello. Zaino.
Chiede informazioni su battery pack, videocamera, trucchi, biancheria intima. 
Lo show, quello vero, inizia quando dice passport, please. E il gioco è fatto "Where are you from? Italiaaaaaaa, aahhahahahhh, italianoooooo!!!!": accorrono i colleghi da ogni dove, mi sento Sigourney Weaver in Alien, "escono anche dalle fottute pareti". Uno mi chiede se sono sposata, l'altro, che si accinge al controllo dei bagagli di Ale, esordisce con un Adriano Celentano, poi inizia a snocciolare la variante sul tema cantanti, cioè calciatori: Alessandro Del Piero, Paolo Maldini, Francesco Totti, Milan, Lazio (ancora non mi capacito del perché la Lazio e non la Roma)... 
Si passa ad una disamina della pronuncia italiana rispetto a quella spagnola. Il piemontese, che non sa un corno di calcio ma che nello zaino ha un milione di sum che si è dimenticato di dichiarare, dà corda e cerca di portarli altrove. 
Ad un certo punto, dopo le risate generali, si fa silenzio. La signorina chiede se abbiamo medicine e a me viene la sudella. Qualcosa per il mal di denti? Io e il piemontese ci guardiamo e non capiamo. Sì, per il mal di denti, per il mal di testa, per il mal di stomaco, farmaci generi insomma. 
Il suo collega ha il mal di denti. 
Bon, pronti via: in nome dell'amicizia italo-turkmena, una bella bustina di brufen orosolubile (non hanno idea di cosa voglia dire, glielo spiego a gesti e sgranano gli occhi). Only one? 
Ma figures, da noi si dice two is megl che one, quindi pronti, ecco lì la seconda bustina di brufen. 
Temo per un attimo che sia un trucco per accusarci di spaccio di sostanze non autorizzate. 
Ma non finiscono più di ringraziare. 
Ok, bon, andate.

10. Usciamo sotto il sole cocente, arriviamo ad un cancello.
Passport, please. Te pareva. 
"where are you from? Italiaaaa! Ohhhhh, italianooooooo"
Ok, bon, andate.

11. Taxi con omino turkmeno.
Jabbar? No, Jabbar is waiting for you at the border.
A quale border???? 
Ci siamo intesi male e ci aspetta alla frontiera con l'Afghanistan? 
Oppure qui son burloni e spostano la frontiera turkmena di 1 metro ogni 15 minuti? 
Valli a capire.

12. Saliamo sul taxi e ci facciamo portare all'ultimo (giuro) check point. 
Ve lo dico o non ve lo dico? 
Passport, please. "Where are you from? Italiaaaaa, ohohhhhh, italianoooo".
Ok, bon, andate.

13. Ed eccolo lì, dietro la sbarra: Jabbar. Con lui c'è Murat. 
Un miraggio. Acqua nel deserto. Ci salutiamo come vecchi amici e capisco subito che il meglio deve ancora arrivare.

13 Passport Please dopo (equivalenti a 3 ore e 20 minuti) siamo su una strada vuota che corre nel deserto verso Mary.

(Desert road to Mary) 

(Jabbar e Murat) 

(Turkmen car style) 

(Dromedari) 

(Lavoretti estivi) 

(Ma che vuole questa?)

(Turkmen hotel style) 

(Avranno sbagliato prenotazione) 

(Trova l'intruso) 

(Sicuri sia il nostro hotel?) 

(Sicuri sia il nostro hotel? - parte 2)



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