Mosca Sheremetyevo - I pivelli e la sensazione della catastrofe incombente

Vi siete mai chiesti come fanno quelli che perdono un volo? Noi sì. Non parlo di ritardi o mancate coincidenze non dipendenti dalla propria volontà. Parlo proprio di perdere un volo nonostante si sia proprio lì, in aeroporto. Ovvio, certo che non è possibile. Chi è quel demente che riesce a perdere un aereo in questo modo? 
Ecco. Noi, da ieri sera, la risposta ce l'abbiamo. E non è bella. Perché quei due dementi siamo noi.
Dove ci troviamo ora: aeroporto di Mosca Sheremetyevo. 
E sento già il vostro coro: ma non dovevate essere in Uzbekistan? 
Sì. Avremmo dovuto. Appunto.

Riassumiamo con calma: arriviamo a Mosca nel pomeriggio, non abbiamo il visto perché siamo solo in transito prima della partenza per Tashkent, tra 4 ore. 
Siamo plenty of time, i bagagli sono imbarcati sulla final destination, siamo tranquilli e rilassati.
Dal terminal D dobbiamo arrivare all'F, 30 minuti a piedi, che qui le distanze interne riproducono su scala 1:1 quelle della grande madre patria russa. 
Nemmeno il tempo di arrivare al terminal F e già il volo è annunciato in ritardo di 1 ora e in partenza dal terminal D: per nulla scoraggiati facciamo dietro front e ripassiamo dal via. 
È a questo punto che commettiamo l'errore più costoso della nostra vita di viaggiatori (fino ad ora): controlliamo l'ora sui nostri nuovissimi cellulari, che si settano automaticamente sul fuso orario della rete. Che figata la tecnologia, nè? 
I nostri potenti mezzi ci dicono che mancano 2 ore alla partenza, decidiamo di mangiare un boccone e berci una birra: ce la prendiamo comoda, così comoda che scatto una foto stupida ad Ale, la posto su Facebook corredata da una di quelle battute sagaci che solo lui sa fare. Paghiamo e ce ne andiamo. 
Manca 1 ora alla partenza ma da subito la situazione ci appare sospetta: il gate è insolitamente silenzioso, le poltrone sono tutte vuote, pare il deserto dei tartari. 
Sento alzarsi flebile la voce di Ale che sta dando un occhio al tabellone e capisco solo "end of boarding". Mi giro di scatto e vedo i suoi occhi, solitamente socchiusi e a mezz'asta come si conviene ad un buon novarese, spalancati come quelli di Marty  Feldman in Frankestein junior. 
Branchiamo la prima hostess a tiro, non parla una parola di inglese, col traduttore del cellulare ci fa capire che dobbiamo andare al transfer desk, terminal E. Nel tragitto, che copre le distanze della steppa siberiana, riesco solo a ripetermi "non può essere vero, non può essere capitato a noi".
Presi dal panico parliamo con chiunque ci capiti a tiro prima di arrivare al tipo del transfer desk, che ci rimbalza al primo piano dove un'addetta ci guarda da sotto i suoi occhiali con grande compatimento. 
Sembriamo Totò e Peppino mentre scrivono la lettera "Signorina, veniamo noi con questa nostra addirvi (addirvi tutto attaccato) che l'aereo era in ritardo, siamo andati a cena, avete annullato il ritardo e noi abbiamo perso il volo".
La signorina pare non cogliere il senso, alza la cornetta del telefono, passano minuti interminabili in cui dice solo da e niet. Riaggancia, ci guarda e ci comunica il responso il cui riassunto è: sono cavoli vostri.
Mi sale l'embolo, la voce mi si strozza in gola come quando provo a mantenere una parvenza di controllo. Il tono mi sale di almeno un paio di ottave e ribadisco che il volo sarebbe dovuto partire in ritardo alle 21:50 e che ora sono solo le 21:30.
Silenzio. 
"Signora, qui a Mosca adesso sono le 22:30".
Silenzio. 
Sento le rotelline girare nella mia testa: bello il cellulare che si setta in automatico sul fuso della rete, bella la tecnologia, nè? [giusto per chiarire: abbiamo poi scoperto che la rete, non si sa per quale ragione, non forniva l'ora corretta]

È una di quelle robe che nemmeno un quindicenne in gita a Londra potrebbe sbagliare. Una di quelle cose che non ti spieghi quando hai attraversato i 7 fusi orari della Transmongolica senza sbagliare un colpo e ne sei uscita indenne. 
Insomma, roba da pivelli. 
Abbattimento, sconforto, senso di sconfitta e di impotenza. Passiamo anche attraverso tutte le fasi dell'elaborazione del lutto, in mezz'ora però, perché non c'è tempo e dobbiamo preparare un piano. 
Quello che viene dopo, nelle ore successive, è una sorta di discesa verso il baratro economico e psicologico in poco meno di 10 tappe:
1. Comperare a nostre spese un nuovo volo per Tashkent.
2. Siccome siamo fortunati, l'addetta alla biglietteria ci informa che anche il resto dei biglietti (Tashkent-Milano) sono andati persi, per un meccanismo perverso che non saprei rispiegare e che rimane patrimonio segreto di Aeroflot e forse del KGB. 
3. Il primo (e unico) volo è tra 24 ore. 
4. Gli unici posti disponibili sono in business class. A me viene un colpo apoplettico, prima perché perdiamo 24 ore, poi per il costo della business. Ale mantiene l'impassibilità che contraddistingue i gentleman (o i piemontesi) anche di fronte alle disgrazie e non batte ciglio.
5. Sì, li compriamo nostro malgrado: non abbiamo il visto per uscire a goderci la città e passare 3 giorni in aeroporto non pare una prospettiva allettante. Acquistiamo solo quelli Mosca-Tashkent andata e ritorno, sperando di trovare su Expedia soluzioni più economiche per il Mosca-Milano del rientro. 
6. 24 ore in aeroporto, notte compresa. Ma abbiamo i nostri fantastici biglietti in business che ci forniranno ben qualche vantaggio, tipo poterci sistemare nel Lounge. Il sorriso ci torna, giusto il tempo dei 2 chilometri che separano il terminal E dal terminal F ed essere informati dalla simpaticona di turno che l'accesso al lounge è possibile solo a partire da 4 ore prima della partenza. Vedi a non viaggiare mai in business che poi si fanno queste figure di palta... 
7. Prima di arrenderci alle poltroncine di attesa dei gate proviamo a vedere se c'è posto nei loculi che qui affittano per dormire: nulla da fare, tutto al completo. 


(Loculi in affitto)

Proviamo anche con il Capsule Hotel all'interno del terminal ma la signorina ci informa che non c'è posto fino alle 9 della mattina seguente.

(Capsule Hotel)

(I 20 anni che non ho)

8. Ci sistemiamo sulle poltroncine e provo a chiudere gli occhi: 4 minuti e 35 secondi è il tempo massimo senza crampi al collo,  alla schiena, alle gambe. Ma tant'è. Mi adatto ai 20 anni che non ho più da un pezzo, mentre Ale, complice la difficoltà a prendere sonno, scopre che sul sito del Capsule Hotel è possibile prenotare online. Non faccio neppure in tempo a dire "ma la signorina non ha detto che era tutto fully booked?", che, con l'audacia che gli esce nei momenti in cui meno te lo aspetti, click, prenotato. Torna dalla signorina dell'hotel (uscita da un romanzo di Dostoevskij), lei nicchia, ammette che c'è una stanza ma è rumorosa. Chissenefrega. 
Prende la camera per 8 ore: è senza finestre, con la luce al neon e sembra partorita dalla mente di John Carpenter, ma ha un minuscolo bagno, la doccia, 2 letti e, in dotazione, asciugamani e ciabattine. 
A me, che indosso le stesse mutande da più di 36 ore, sembra un miracolo. 
Il rumore tanto vituperato è il ronzio di un condizionatore, ma la signorina non sa che noi viviamo a Desio, zona stazione, e che d'estate, con le finestre aperte, tra le risse a notte fonda, la pizzeria di Nasir sotto casa e gli eventi di Villa Tittoni, pare di essere al circo. 
Il tempo di sdraiarsi e siamo partiti: 8 ore di filata, esco e ne prenoto altre 4, come nei motel peggiori. 

(Capsule Hotel - interno al neon)

(Capsule Hotel - bagno) 

9. Comperiamo un nuovo volo Mosca-Milano, dopo aver fatto avanti e indietro numerose volte tra il terminal D e il terminal F e dopo aver risolto il problema dei bagagli ormai partiti per Tashkent senza di noi.

Sono le 14:25, facciamo colazione ed è il momento per tirare un po' le somme (in molti sensi): quella di ieri sera è stata la birra più cara di sempre. E mentre eravamo lì a fare i cretini, il volo per Tashkent è partito lo stesso. Senza di noi. 
In totale, ecco cosa ci portiamo a casa da questa esperienza: mai fidarsi della tecnologia, conoscenza dettagliata della planimetria dei terminal D, E, F,  con relativi negozi ed uffici, notte nel Capsule Hotel, rischedulazione di tutti i voli, con esborsi vasti quanto la Siberia, e dei primi due giorni di viaggio. E adesso siamo ancora qui, all'aeroporto di Mosca dal nome impronunciabile, ad aspettare il nuovo volo per Tashkent.

Magra, magrissima consolazione: siamo finalmente entrati nella Jazz Business Lounge,  dove puoi prendere quello che vuoi (tanto l'hai già pagato salato con il biglietto), dove non fai in tempo a finire ciò che hai nel piatto che c'è già qualcuno che passa a pulire, dove ci sono solo oligarchi russi con le loro fidanzate fotomodelle e facoltosi uomini d'affari orientali. Come al solito siamo gli unici fuori posto, elementi di disturbo in un mare di vestiti firmati e oggetti costosi, ma, visto che ci siamo, prendiamo un aperitivo, un po' di vino, una birra con delle patatine, una pizzetta, ma sì dai, anche dei pelmeni caldi, magari un succo o... No no,  aspetta, anche un dolcetto, perché no?... Sì, ma prendilo il caffè che ci sta proprio bene con i croissant caldi...

(Jazz Business Lounge) 

Piccolo POST SCRIPTUM: siamo saliti sull'aereo per la prima volta sfruttando una corsia prioritaria, per la prima volta una hostess russa ci ha sorriso, per la prima volta ci è stato servito champagne appena seduti su di una poltrona più comoda del divano di casa nostra e dotata di una serie di pulsanti di cui ignoravo l'esistenza. Hanno apparecchiato con tovaglia e posate vere e ho in dotazione un kit di bellezza che quando arrivo a Milano lo rivendo e ci rifaccio i soldi dei biglietti in business...


(Business class)

(Cena) 

(Al piemontese non pare vero) 



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