Mangystau - Beket Ata, Shopan Ata, Boszhira

4 Agosto 2018 - 21 Agosto 2018

(Boszhira Valley)

Oltre a non sapere chi fosse, io non riuscivo nemmeno a pronunciarlo il nome di Beket Ata, veggente, guaritore e maestro sufi vissuto dal 1750 al 1813.
Adesso me lo ricorderò per tutta la vita.

 (Deserto del Mangystau)

 (Deserto del Mangystau)

 (Deserto del Mangystau)

 (Deserto del Mangystau)

 (Deserto del Mangystau)

 (Deserto del Mangystau, Camouflage, antilopi)

 (Deserto del Mangystau)

 (Deserto del Mangystau)

(Deserto del Mangystau)

Al museo ci avevano parlato di una moschea sotterranea risalente a più di mille anni fa, costruita inizialmente come luogo di ristoro per i viandanti, poi per i commercianti della Via della Seta e infine divenuta moschea e madrasa. Per arrivarci occorreva tanta pazienza e più di mille gradini.
Ma non so perché, nella mia mente, avevo un po' arrangiato questa informazione, credendo che fosse un modo per ingigantire, per creare quell'aura di rispetto che aleggia attorno ad acuni luoghi sacri.
Arriviamo al parcheggio e io non capisco dove cavolo si trovi questa benedetta moschea. Vedo cupole e cimiteri, ma dalla geografia del posto non c'è nulla che mi induca a pensare che ci sia una moschea sotterranea.
Varchiamo un cancello con l'imponente scritta Beket Ata e si apre un panorama di vallate e montagne da togliere il respiro.

 (Ingresso alla moschea sotterranea di Beket Ata)

 (La lunga strada verso Beket Ata)

 (Rilievi montuosi nei pressi di Beket Ata)

(Beket Ata)

Poi ad un certo punto vedo tanti puntini colorati muoversi lungo il costone della montagna alla mia destra.
All'inizio non capisco. Il mio cervello non collega. Provo a mettere a fuoco e poi realizzo: quei puntini sono persone. Persone che stanno percorrendo un sentiero scosceso. Lo seguo con lo sguardo ma non riesco a trovarne la fine. Poi lo vedo, incastonato nella roccia, proprio lì in fondo, l'ingresso alla moschea sotterranea. Ma lo capisco solo perché dalla cima vedo quelli che intuisco essere capannelli di persone riunite in un punto preciso.
Ripasso bene la strada da lì fino a qui.
E mi viene un colpo apoplettico.
Non sono mille gradini.
Saranno almeno diecimila.
Sono poco meno di due chilometri.
Sotto il sole delle 3.
Con la compagnia dei 47.2 gradi.
Ed essendo un posto sacro, indossando anche cappello e stola per coprire le braccia.
Poi, io, da vera regina delle pivelle, mi sono portata dietro anche lo zaino, perché mica avevo capito che c'erano i diecimila gradini. Nello zaino c'è tutto, tranne l'acqua.
Ma siamo venuti fin qui, vorrai mica dire di no.
Quindi ci facciamo la discesa, giù fino alla moschea sotterranea e io riesco solo a pensare "ma chi me l'ha fatto fare?".

 (I diecimila gradini verso Beket Ata)

 (Sosta sulla strada per Beket Ata)

 (Verso Beket Ata)

All'ingresso ci mettiamo in fila, io di fianco ad una sciura con le sue figlie adolescenti. C'è una varietà umana incredibile, ci guardano tutti, ma proprio tutti, come se fossimo alieni calati qui con un raggio di luce. Non si fanno problemi a fissarti.
Sono tanti quelli che chiedono a Diana da dove veniamo, perché siamo qui e dove andremo (insomma, le domande esistenziali): sono tutti impressionati e ci ringraziano per il tempo che abbiamo dedicato a questa visita. Ci benedicono e benedicono il nostro viaggio.


(Beket Ata, ce l'abbiamo fatta)

Sarà che sto diventando vecchia, ma queste cose mi commuovono.
Mi commuovo di meno quando dobbiamo affrontare la salita.
I pellegrini che incrociamo ci incoraggiano, ci salutano e ci ringraziano per essere lì: mi sento Pantani sulla vetta dell'Izoar.
Ci fermiamo a tutti i gazebo previsti per le soste, in uno c'è addirittura una fonte d'acqua e gli autoctoni si fanno in quattro: ci guardano in faccia e capiscono subito che siamo venuti giù con la piena, che manca poco al collasso polmonare, ci danno precedenza, saltiamo la fila, ci riempiono d'acqua i bicchieri di latta appositamente lasciati alla fonte, che a occhio e croce sono reperti dell'età del bronzo. Per un secondo penso che un cagotto non me lo leverà nessuno, ma realizzo la povertà del mio pensiero: la verità è che sono molto fortunata ad essere straniera e ad aver incontrato qualcuno che ci ha aiutati.
Anche qui, appena sanno che siamo italiani, bon, è fatta: Juventus, Milan, Cristiano Ronaldo. Quando capiscono che tifo Inter le reazioni sono sempre le stesse: sostanzialmente fa schifo.
Diana ci spiega che gli italiani sono visti come persone molto intelligenti, di fama e successo. Soprattutto Milano è sinonimo di moda e bellezza, di cui ovviamente io e il Piemontese diventiamo assoluti interpreti, con i nostri vestiti sporchi, puzzolenti e sudati.
Ma siamo felici perché, tra una chiacchiera e l'altra con uno dei pochissimi quindicenni che parlano inglese e ci fa un sacco di domande, abbiamo riguadagnato la via verso la cima.
Io mi sento Messner dopo aver fatto tutti gli 8.000, il Piemontese si sente come la domenica sera dopo la pastina delle 7:30.
Ho la salivazione azzerata, la gola prosciugata, i vestiti zuppi e la favella in sala di rianimazione.
Giusto il tempo di bere quei due litri di acqua per la reintegrazione dei liquidi e siamo sulla via per la moschea sotterranea di Shopan Ata, maestro di Beket Ata, e il mausoleo di Yuk Sum, suo genero.
Nella moschea l'imam benedice il nostro viaggio e ci fa dono di un fazzoletto benedetto.

 (Boszhira Valley)

 (Boszhira Valley)

 (Boszhira Valley)

 (Boszhira Valley)

 (Boszhira Valley)

 (Boszhira Valley)

(Boszhira Valley)

 (Forme di vita locali)

 (Verso Shopan Ata)

 (Tramonto sulla mosche sotterranea di Shopan Ata)

(Shopan Ata, incontri casuali)

 (On the road)

Risaliamo in macchina che è ormai il tramonto, diretti a Boszhira, una valle che avevamo ammirato già nel pomeriggio, con l'intento di accamparci per la notte.
Forse.
Perché la vera avventura è l'imprevisto. E da queste parti gli imprevisti sono come le focaccine dell'Esselunga: una tira l'altra.

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