Riserva naturale Aksu-Zhabagyly (e guarda un po' chi c'è in TV...)

4 Agosto 2018 - 21 Agosto 2018

(Shanyrak, yurta, interno)

Alle 7, puntuali come la messa, ci presentiamo nella sala colazioni. Nemmeno il tempo di arrivarci che l'addetto alla reception ci avvisa che è un attimo in ritardo (la colazione, presumo) e che si potrà iniziare alle 7:30.
Ci facciamo un giro fuori, ieri ha piovuto molto e fa freschino.
Archiviata la pratica colazione, salutiamo la nostra fantastica stanza vintage col televisore a 60 pollici e finiamo il giro dei maggiori siti di interesse culturale: prima una visita al mausoleo di Tekturmas, poi alla città vecchia di Taraz, con i suoi 2000 anni di storia, gli scavi e il museo archeologico annesso con i ritrovamenti del sito contiguo.

(Mausoleo di Tekturmas)

(Mausoleo di Tekturmas)

(I tre dell'Ave Maria, mausoleo di Tekturmas)

(Antica Taraz)

(Taraz)

Poi il mausoleo di Karakhan, risalente all'XI secolo. 

(Mausoleo di Karakhan)

Ed è qui che incappiamo in una troupe della televisione kazaka che ferma Diana e chiede di poterci intervistare: siamo gli unici turisti ad essere venuti in questo sito e comunque ce ne sono un numero esiguo in città. Stanno cercando di promuovere la cultura e di attrarre nuovi visitatori.
Visto che siamo molto felici di poter contribuire in qualche modo, accettiamo.
Ci si parano davanti, nell'ordine:
1. L'intervistatore con il microfono in mano
2. Il cameraman professionista
3. Due fotografi
4. Un tizio con gli occhiali da sole non ben identificato che ci riprende con il cellulare, a metà tra Paolo Bonolis e Gigi D'Alessio
5. Una signora molto elegante e ingioiellata, tipo la sindaca del paese o la direttrice del sito archeologico.
6. Un altro tizio che non sembra avere un ruolo specifico, ma indossa una tuta da ginnastica cinzata, le chiusure lampo terminano con un anello di plastica in cui sono inserite le iniziali del marchio Louis Vuitton e in questo momento io ho in mente una sola domanda "Qual è la ragione che ha spinto LV a produrre tute da ginnastica cinzate che nemmeno il Piemontese, nel suo infinito analfabetismo estetico, comprerebbe?". 
La Ferragni qui potrebbe dissipare il dubbio che mi attanaglia. Chissà... Magari proverò a scriverle.

Noi siamo conciati come due fanti di picche. Io sono senza trucco e non mi pettino dall'inizio della vacanza, indosso gli stessi pantaloni da ormai una settimana abbondante e ho capo e braccia coperti da una stola ampia ma senza avere nulla della grazia con cui le donne autoctone che la indossano sanno arrangiarla.
Il Piemontese... Bè, il Piemontese... C'è bisogno che ve lo dica? Marsupio, cappello da esploratore sfigato (che però si toglie), doppio paio di occhiali a tracolla e l'immancabile t-shirt bianca di Sergio Tacchini.
Vogliono sapere i nostri nomi e da dove veniamo.
Poi attaccano con le domande, perché abbiamo deciso di venire qui, quali sono le cose che ci sono piaciute di più.
Rispondiamo in inglese e Diana traduce in kazako.

(L'intervista)

Al termine inizia il rito delle foto. Tutti ne vogliono una con noi: la sovrintendente, il tizio a metà tra Bonolis e D'Alessio, quello con la tuta cinzata LV, i due fotografi, il cameraman e il giovane intervistatore. Siamo la Siusi Bladi e il Patrizio Roversi versione kazaka. In totale un servizio fotografico da un centinaio di scatti, non la finiamo più.

 (Mausoleo di Karakhan, servizio fotografico)

 (Mausoleo di Karakhan, servizio fotografico)

Ci dicono che passeranno l'intervista in TV e caricheranno il video su YouTube. 

(Siamo star della TV - dal minuto 0:43)

E poi partono i ringraziamenti: inchini, rakhmet, mani sul cuore, thank you.
Sono tutti super-gentili e qui nessuno ha fretta. A parte Kasim, che ci aspetta in macchina col motore acceso, pronto per partire alla volta della riserva naturale di Aksu-Zhabagyly, dove pernotteremo.
Anche qui sfilano paesaggi che ci lasciano a bocca aperta.
Quando arriviamo a destinazione, ci aspetta Ruslan, proprietario di una piccola, spartana ma attrezzatissima guesthouse.
La gestisce con la madre e la figlia proprio al confine con il parco. Ci offrono un pranzo delizioso, a base di pelmeni.

 (Aksu-Zhabagyly, Ruslan guesthouse)

(Aksu-Zhabagyly, Ruslan guesthouse)

Vista la mia nota passione per i pelmeni, me li scofano tutti senza rimpianti, tanto poi si smaltisce: il ranger del parco ci aspetta per condurci ad una cascata, sono 6 chilometri all'andata e 6 al ritorno, su sentieri piuttosto ripidi, a dire il vero. Considerando che non siamo affatto allenati, siamo orgogliosi di essere riusciti a farcela.

(Riserva naturale Aksu-Zhabagyly)

Sulla via, Bigshan (che in kazako significa 'anima grande') ci indica i nomi scientifici di piante e animali. Il parco è il più vecchio dell'Asia centrale (istituito nel 1926) e vanta numerosissime specie vegetali e animali, tra cui molte erano in via di estinzione: aquile, avvoltoi, camosci, orsi e il famoso leopardo delle nevi, uno dei simboli del Kazakhstan e praticamente impossibile da avvistare.

 (Riserva naturale Aksu-Zhabagyly)

(Riserva naturale Aksu-Zhabagyly)

Impariamo anche tante cose sulla cacca: sì, avete afferrato correttamente. Sulla cacca. Oltre a quella dei cavalli e delle mucche, impariamo a riconoscere quella degli orsi, che qui sono di casa. Ci dicono infatti di stare attenti, non sono quasi mai aggressivi e non attaccano l'uomo a meno che siano feriti o abbiano dei cuccioli al seguito.
Dalla cacca impariamo anche a capire cosa mangiano: tanta tanta frutta, mele (che qui crescono selvatiche e che Bigshan raccoglie per farcele assaggiare, una delizia, altro che Naturasì), bacche.
Una delle cacche è fresca, un orso è sicuramente passato di qui da poco, ma sfortunatamente non riusciamo ad avvistarne nemmeno uno. Se non altro possiamo dire di aver visto che cacca fa.
Bigshan è timido, parla e comprende l'inglese ma si vergogna, non vuole fare errori, quindi raramente si rivolge direttamente a noi, chiede l'aiuto di Diana per la traduzione.

 (Bigshan, riserva naturale Aksu-Zhabagyly)

  (Bigshan, riserva naturale Aksu-Zhabagyly)

 (Riserva naturale Aksu-Zhabagyly)

 (Riserva naturale Aksu-Zhabagyly)

 (I due pivelli, riserva naturale Aksu-Zhabagyly)

 (Riserva naturale Aksu-Zhabagyly)

(Riserva naturale Aksu-Zhabagyly)

Rientriamo alla guesthouse che è quasi ora di cena, il tempo di una doccia veloce e di qualche chiacchiera.

La mamma di Ruslan fa mangiare polvere ai migliori chef stellati Michelin, a Masterchef quello sbrindellato di Bastianich si inchinerebbe alle sapienti mani della donnina col fazzoletto in testa e gli suderebbe pure la pelata.
Noi facciamo onore al pasto e usiamo il suo favoloso pane fatto in casa per una scarpetta che, ancora adesso, i kazaki presenti se la ridono a crepapelle.
Da quando siamo in questo paese beviamo litrate di tè con la malina, una specie di marmellata fatta con lamponi e zucchero, macinati assieme lentamente nella stessa quantità.
La malina nel tè serve a molti scopi: a far passare il mal di testa, a fornire vitamine, a far stare meglio le vie respiratorie quando si ha il raffreddore, ma soprattutto a far sorridere il Piemontese che ne è diventato completamente dipendente.
Temo il rientro a casa, non so quali reazioni fisiche e psicologiche potrà procurare il drastico e repentino annullamento nell'assunzione di questo nettare.
Ha raggiunto anche gli standard minimi kazaki, arrivando alla sesta tazza di tè a pasto. Ma stanotte dormiamo nella yurta e penso alle volte che ci dovremo svegliare con questo freddo gelido per uscire e andare in bagno.

(Yurta, riserva naturale Aksu-Zhabagyly)

Di notte la temperatura si abbassa; la yurta è confortevole, sotto il piumino si sta bene con pantaloni, maglia termica e calze. Fuori il viso è gelido ma penso che serve a mantenere la pelle giovane.

 (Yurta, interno, riserva naturale Aksu-Zhabagyly)

Sopra di noi la shanyrak, il cuore della yurta, la sua parte più resistente, quella che ogni famiglia tramanda di generazione in generazione, emblema del Kazakhstan e in alcune circostanze vocabolo usato estensivamente per indicare la "casa", come luogo fisico e di relazione: di giorno i suoi intrecci riflettono sui tappeti la luce del sole e servono da migliaia di anni per sapere che ore sono, quando è tempo di mungere le mucche o preparare il pranzo.
Niente elettricità nella yurta. Così il buio è il modo in cui il giorno ci dice che è tempo di dormire, di lasciare che il sonno chiuda l'esperienza del vissuto: spegniamo la torcia e andiamo a letto, che domani la sveglia è alle 5:00.
Direzione Turkistan.

(Yurta, esterno, riserva naturale Aksu-Zhabagyly)




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