Mangystau - Di accoglienza e umanità

4 Agosto 2018 - 21 Agosto 2018

(Basarbay)

Le rughe del volto di Basarbay Janhusak sono profonde, sono solchi scavati dal tempo su una terra scura. Gli occhi verde chiaro sono frutto di quella mescolanza di genti, fedi, tratti, saperi che sono passati su questa landa vasta e bellissima.
Ci accoglie nella sua casa come se ci conoscesse da sempre: molti passano e non si fermano e a lui dispiace, spesso si mette sulla strada principale di questo villaggio di cinque case (e quando dico cinque intendo proprio cinque) e quando vede avvicinarsi una macchina, la ferma e invita tutti per il tè.

Sergei l'ha conosciuto due anni fa passando qui per via di una necropoli. Da allora non l'ha più visto.
Ci accomodiamo per terra, attorno ad un tavolo basso apparecchiato con pane fatto in casa e dolci. Ajar, la moglie dal volto rotondo e gli occhi che sono due fessure sul mondo, scalda un gustoso plov e mette sul fuoco l'acqua per il tè: la cortesia vuole che l'ospite ne beva almeno tre tazze, una per la casa, una per l'uomo e una per la donna. Quando non se ne vuole più basta capovolgere la tazza sul tavolo.

Basarbay ci racconta la sua storia, di come da giovane avesse aiutato negli scavi archeologici diversi professori venuti da lontano.
Ci guida alla visita della necropoli semi abbandonata che resiste al vento e all'oblio: ci sono tombe molto antiche di cui si può solo stimare una datazione.

Ci mostra fiero i suoi lavori in pietra: animali ma anche piccoli putti. Al Piemontese regala un'aquila sul cui piedistallo appone la sua firma. Gli fa dono anche di un vestito tipico kazako mentre Ajar mi porge un bellissimo foulard di seta.

 (Basarbay e le sue sculture)

 (Basarbay)

 (Basarbay)

 (Doni)

 (Vento)

 (Nuove amicizie)

(Foto di gruppo)

Noi non capiamo.
Proprio non entra nella nostra mente ristretta plasmata dalla diffidenza e dal sospetto tipicamente occidentali che uno sconosciuto possa non solo accoglierti ma anche regalarti ciò che ha.
È una roba che ti prende la gola, un'emozione che cerchi di ricacciare indietro assieme alle lacrime.
A Est, in particolare in Kazakhstan, l'ospite è una benedizione. Nel senso letterale del termine: è una manifestazione di dio e accogliere l'ospite è rendere felice dio.
Un retaggio della cultura nomade di questo popolo, a cui si mischia l'Islam portato dagli Arabi a partire dal VII secolo.
In ogni casa c'è uno spazio, una stanza, dedicato all'ospite, che sia un amico o uno sconosciuto incontrato per strada non fa alcuna differenza. Quando l'ospite se ne va la famiglia gli fa un regalo: perché la visita di un ospite è un onore e benedice la casa.

La stessa cosa accadrà quando, dopo qualche ora, saremo invitati per il pranzo dagli amici di Sergei che erano venuti a salvarci e che invece abbiamo tolto noi dal pantano.
Zhanaozen è una di quelle cittadine nate intorno ai pozzi petroliferi: condomini diroccati e fatiscenti, strade di polvere e desolazione. Potrebbe essere tranquillamente Kabul bombardata.
Qui le compagnie estere proprietarie dei pozzi pagano l'affitto del terreno ma nessuna tassa sui profitti della vendita del petrolio, denaro che invece potrebbe restituire un minimo di servizi ai cittadini oltre a qualche opportunità e una certa forma di dignità. Sulle scale di questo condominio dove la bellezza ha abdicato, Diana si ferma e piange. A noi basta uno sguardo per capire: la sua terra è così ricca e questa gente così povera. È il suo Paese, è il suo popolo. Vederlo vivere in condizioni precarie, veder barattato il loro futuro in cambio di un lavoro sottopagato nelle compagnie petrolifere dove gli autoctoni non faranno mai carriera, la fa soffrire.
L'abbraccio e stiamo in silenzio.
Si può essere famiglia anche così, con due estranei che si abbracciano senza parole.

Zeinulla e Aitkyl ci hanno preparato un pasto luculliano a base di beshbarmak (il piatto tipico kazako che significa "cinque dita" perché si mangia appunto senza posate, con le cinque dita della mano destra) e shubat (latte di cammella fermentato): anche da qui si sentono le voci dei bambini che giocano per strada e che ci hanno accolti bloccandosi come statue di sale, guardandoci affascinati come se fossimo Batman e Wonder Woman.

 (Beshbarmak)

 (Beshbarmak e shubat)

 (Ospitalità kazaka)

 (Un due tre stella)

 (Un due tre stella)

Nell'appartamento ci viene offerta anche la prima doccia degli ultimi tre giorni, in un bagno minuscolo ricavato da uno sgabuzzino, asciugamani e pantofole rosa col pelo che mi ricordano un'infanzia lontana.

 (La vie en rose)

(Insieme)

Anche qui ci congediamo con un regalo e con la commozione del Piemontese, che con la voce rotta prova a ringraziare per l'ospitalità disinteressata e che non riesce a capacitarsi di tanta umanità verso dei completi sconosciuti.
Come Basarbay, anche Zeinulla unisce le mani a coppa e recita una preghiera semplice. Ci uniamo anche noi all'amin: non stiamo pregando il dio dei musulmani, dei cristiani, degli ebrei o dei buddisti, ma stiamo rivolgendo un ringraziamento all'unica forza più grande di noi, che accomuna tutti e ci rende più forti quando siamo uniti.
Quella che ci ha fatti incontrare ed essere qui in questo momento e che ci farà tornare a casa con un cuore grato.

 (Mangystau)

  (Mangystau)

  (Mangystau)

  (Mangystau)

  (Tramonto sul Mangystau)

 (Anticipo di compleanno)

 (Buon compleanno, Ele!)

 (Buon compleanno, Ele!)

 (Buon compleanno, Ele!)

 (Ciao)

(Malpensa, Italia)



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