Lago Kolsay - Lago Kaindy - Assi plateau


4 Agosto 2018 - 21 Agosto 2018

(Tracce)

Il protagonista di questa avventura poteva essere il Kazakhstan o al massimo io, il Piemontese e il Kazakhstan.
E invece no.
Provate a indovinare un po' chi è il protagonista?
Lui, Kasim.

Facciamo colazione con gli altri ospiti inglesi, mentre un ragazzo se la dorme della grossa sul divano.
Due parole e poi ognuno via per la sua strada.
Arriviamo al primo dei laghi Kolsay, uno specchio d'acqua formatosi in seguito ad uno dei numerosi terremoti in questa nazione ad alta frequenza sismica.
Siamo a 2250 metri di altitudine e l'acqua assume colori che sfumano dal verde al blu notte. Tutto intorno montagne, roccia e abeti.

 (Lago Kolsai)

 (Lago Kolsai)

 (Lago Kolsai)

(Lago Kolsai)

Kasim è già in prima linea, fa da apripista sul sentiero attorno al lago. Ogni tanto si ferma e grida a squarciagola una specie di yodel per verificare l'effetto dell'eco, qualcosa il cui significato ci rimarrà sempre sconosciuto e che può variare tra il "ciao, qualcuno mi sente?" e la ricetta del plov kazako.
Poi se la ride e canticchia.

(Un po' di kazako e un po' di piemontese)

È anche un esperto di fotografia: ce ne fa tantissime, indicandoci con millimetrica precisione la posizione, la posa, lo sfondo.

(The way to Kaindy lake)

Proseguiamo verso il lago Kaindy, anch'esso risultato di un terremoto che ha provocato la fuoriuscita di acqua dal sottosuolo. La sua particolarità è che nel lago sono rimasti piantati degli abeti, che col tempo hanno perso rami e aghi e che sembrano quindi stuzzicadenti conficcati sulla superficie.
Improvvisamente vediamo Kasim agitarsi, indica con la mano un punto nel lago, dice qualcosa in kazako alla nostra guida: nemmeno il tempo di capire che una farfalla è finita in acqua e non riesce più a volare, che lui si è già tolto la maglietta e buttato nel lago, pantaloni compresi, recupera la farfalla, la poggia sull'erba, al sole, affinché si asciughi e possa salvarsi.
Noi, senza parole, lo guardiamo a bocca aperta.

 (Lago Kaindy, l'avvistamento)

 (Lago Kaindy, il salvataggio)

Dopo il salvataggio della farfalla, ci porta a vedere un panorama del lago da un'altra prospettiva. Ci inerpichiamo per un salita ripida, con delle soste tattiche utili non certo a riprendere fiato ma a permettere a Kasim di lanciare le sue urla nel vuoto, ridere e spiegarci le proprietà curative delle bacche e delle piante che incontriamo lungo la via. Ovviamente lui parla kazako, russo e nemmeno una parola di inglese, noi italiano, inglese e due parole di kazako (ciao e grazie).
Il mix è letale.
Ma il Piemontese abbozza "certo, sì, sta dicendo che i malina (lamponi) hanno proprietà curative mentre l'altra bacca rossa oblunga non è buona, anzi letale quindi non dobbiamo raccoglierla. Quella coi fiorellini invece possiamo mangiarla perché ha proprietà benefiche per il sistema immunitario".
Lo guardo basita e scopro che, per una ragione a me sconosciuta, il Piemontese e il Kazako in qualche maniera si intendono.

 (Lago Kaindy)

 (Lago Kaindy)

(Lago Kaindy)

Nel frattempo stiamo ridiscendendo e arriviamo alla foce del fiume che fa da immissario al lago. Un luogo tranquillo e silenzioso dove inizia il solito rituale delle foto e delle pose: più a destra, no più a sinistra, spostati di lato, il sole, la luce, lo sfondo è migliore se ti abbassi, che a confronto il set fotografico del numero di agosto di Vogue è la prova dei costumi per la recita dell'asilo.


(Kasim)

Se il tragitto di andata non è stato proprio una passeggiata, con una strada impervia anche per il coraggioso Kasim, il ritorno si fa ancora più interessante: il corso del fiume è cambiato e ci tocca guadarlo.

Sulla strada ci fermiamo da un apicoltore russo che produce e vende miele. Kasim e Diana nemmeno a farlo apposta ne comperano un barattolo da un chilo a testa, a cui aggiungono una specie di palla che capiamo essere propoli e alla fine ci portiamo via anche una camera di allevamento intera su cui ancora ronza qualche ape. L'apicultore la impacchetta e ce la sistema nel bagagliaio.

 (L'apicoltore)

 (Miele kazako)

 (La trattativa)

(L'apicoltore)

Sì, avete capito bene: stiamo viaggiando con la camera di allevamento di un'arnia nel bagagliaio, con qualche ape ancora attaccata lì.
Kasim canticchia.

 (Natural dryer, il modo più rapido per asciugare le calze)

 (Landascape)

 (Landascape)

 (Landscape)

 (Un punto nell'infinito)

 (Lunch stop)

(Lunch stop)

Ci aspetta un lungo viaggio fino all'Assi plateau, un pascolo all'interno del parco nazionale Ile-Alatau dove ancora oggi fanno transumanza i pastori seminomadi con le loro pecore, mucche e cavalli: vogliamo attraversarlo per arrivare fino all'osservatorio astronomico, oggi in disuso.
La strada è ardua anche con le quattro ruote motrici: sassi, massi, pietre, per di più in salita. Ad un certo punto poi siamo costretti a fermarci, sentiamo odore di bruciato. Kasim si allarma, dice che c'è del fuoco, spegne la macchina e impone a tutti di saltare fuori. Effettivamente la puzza c'è. Apriamo il cofano, tutti e quattro proviamo a guardare dentro ma nessuno ci capisce nulla. Per Kasim le macchine straniere sono un mistero, "fosse stata una macchina russa avrei saputo riconoscere subito il problema". Si butta per terra più volte, infila la testa sotto l'auto, ne esce sempre sfiduciato.
Che fare? Procediamo rischiando di fondere qualcosa o rinunciamo e torniamo in città?
Non sia mai: Kasim, a cui spetta l'ultima parola, dice che si può provare a procedere per un po' ancora vedendo come va.
Approviamo all'unanimità e col fiato sospeso ci avviamo.
Sembra andare bene, riceviamo incoraggiamenti anche da altri guidatori che scendono in senso opposto e che ci premuriamo di bloccare per informazioni e dettagli sulle condizioni della strada.
Una vera consulta di esperti, insomma.

Sfila un paesaggio che definire meraviglioso sarebbe riduttivo. Colline verdi ricoperte da centinaia e centinaia di piccoli puntini neri e marroni, un cielo azzurro sporcato da nuvole bianche e soffici. Il sole, che le attraversa, gioca alle ombre cinesi sui prati. Sono 15 chilometri di sobbalzi, pendenze e bellezza allo stato puro. Kasim non parla, si limita a mangiare patatine e ad usare il clacson per far spostare cavalli, mucche o pecore che sostano in mezzo alla strada.

 (Assi plateau)

 (Assi plateau)

 (Assi plateau)

 (Assi plateau)

 (Assi plateau)

 (Assi plateau)

 (Assi plateau)

 (Assi plateau)

 (Assi plateau)

(Assi plateau)

Arriviamo in cima al pascolo, dove si trova l'Osservatorio astronomico e ci godiamo una merenda col panorama da urlo.

 (Assi plateau)

 (Assi plateau)

  (Assi plateau)

 (Assi plateau, un essere parlante e un essere mutante)

 (Assi plateau)

 (Assi plateau)

 (Assi plateau)

 (Assi plateau)

(Assi plateau)

È il nostro privè, ci siamo solo noi, nessun altro, a parte due cani affamati con cui condividiamo il pasto.
 (Indovina chi viene a cena?)

(Indovina chi viene a cena?)

 (Assi plateau)

 (Assi plateau)

 (Assi plateau)

(Assi plateau)

Guadagnamo la via del ritorno per sistemarci a Turgen ma capiamo fin da subito che qualcosa non va: Diana non riesce a trovare l'hotel neppure su Google Maps, si attacca al telefono, chiede spiegazioni, la foto che le hanno inviato non corrisponde a quello che ci troviamo davanti.
Sembra un posto abbandonato, le erbacce infestano il cortile, ci si para di fronte un tizio che a braccia conserte ci guarda dall'alto in basso.
A Diana questa storia puzza, lo capisco dall'espressione che ha sul viso quando si rivolge alle due donne nella reception, chiedendo di vedere le stanze e poi decidere se rimanere o no.
La rassicuriamo e le diciamo che non c'è problema per noi, va bene tutto. La cosa che mi insospettisce è l'atteggiamento sprezzante del tizio che ci ha accolto e il fatto che siamo gli unici ospiti dell'hotel.
Entriamo in camera con l'intenzione di sistemarci: il tempo di accorgerci che a quel bagno preferisco le latrine, che non possiamo tenere la finestra aperta e che si soffoca dal caldo, che Diana bussa alla porta. Non so cosa sia successo, ma è lei a dirci "per favore, andiamo via, non possiamo stare qui".
Rimettiamo le scarpe e usciamo così come siamo entrati.
È buio e ci mettiamo alla ricerca di un'altra sistemazione: Diana fa una serie di telefonate ma senza successo. Proviamo in un hotel dove hanno una camera ma nel giardino è in corso una specie di festa con adolescenti ubriachi, dj set kazako e musica tecno a miliardi di decibel.
Anche no.

Rimane il quattro stelle di Turgen, che volevamo francamente evitare ma non c'è altra soluzione.

Qualsiasi cosa vi immaginiate possa essere un quattro stelle toglietevela dalla testa.
Prima dovete settarvi in modalità kazaka, aggiungere quel gusto kitsch che aumenta proporzionalmente più si va a Est di Bucarest e quel senso di precarietà che permea ogni cosa.

 (Quattro stelle)

 (Quattro stelle)

Nel giardino campeggiano due cactus di plastica illuminati, un piccolo edificio "Karaoke Hall" e un edificio più grande che è l'hotel vero e proprio: il vetro dell'ingresso è incrinato e per tutta la hall sono distribuite luci intermittenti e stelle luminose. Mi assale un senso di profonda inquietudine, la stessa che ha provato Jack Nicholson all'Overlook Hotel.
Non c'è nessuno, anche la reception è deserta. Diana recupera qualcuno all'esterno e ci dà le chiavi della camera che sono attaccate ad una di quelle targhette in plastica con il numero scritto a mano, che da noi si usano per il box o il ripostiglio degli attrezzi in giardino. Gli scalini hanno una profondità che sembra quella delle vie dei santuari dove si va in pellegrinaggio, fatta apposta per farti espiare qualche peccato.
Apriamo la porta della nostra suite imperiale: salottino in perfetto stile tamarro, letto matrimoniale con copriletto ingiallito a balze, niente comodini, niente prese della corrente. 
Anzi no, ce n'è una a cui attacchiamo tutti gli armamentari tecnologici e che sembra uno snodo elettrico della Telecom.


(Quattro stelle)

Il pezzo forte è il bagno: gli infissi sono inchiodati con due pezzi di legno, non c'è una piastrella che abbia lo stesso colore, c'è la vasca idromassaggio senza rubinetto ma con un doccino che spruzza acqua da tutte le parti. 

 (Quattro stelle)

(Quattro stelle)

Per farmi la doccia provo tutte le posizioni del kamasutra e nonostante questo il bagno si allaga perché non c'è alcun tipo di tenda. Però c'è il kit di cortesia: uno spazzolino (uno solo, ma se ci mettiamo uno di fianco all'altra i denti ce li possiamo lavare entrambi) e due flaconcini: uno di shampoo e uno di shampoo, aroma polonio impoverito.
Abbiamo diversi animali (viventi) a farci compagnia.
E solo quando sono seduta sul wc mi rendo conto che non c'è carta igienica.

🌟 🐀